Oggi il cielo del parco è di ferro, sta per piangere le prime gocce di neve. È dunque la giornata giusta per dirsi parole dolci, amare ed insapori.
– Ti piace? – Carolina lo chiede così, semplicemente. Senza aver bisogno di conoscere il soggetto, il complemento e tutto il resto dell’analisi illogica che regola l’Amore.
– Mi piace quello che è, e quello che non è.
La gamba di Carolina dondola spensierata nel vuoto che riempie la base della panchina e scandisce così il tempo delle parole dell’amica.
– Quando ero piccola mi piaceva giocare con i puzzle degli animali. Riuscivo a visualizzare quello che mi serviva per raggiungere lo scopo: l’immagine finale. Adesso è come allora, so cosa devo fare, ma io sono l’unico pezzo che non si riesce ancora a sistemare nella cornice.
Questa panchina è troppo fredda sui jeans per definirsi ospitale.
– Questo ragazzo mi si è incastrato nella testa e non se ne vuole andare. Come la tessera sbagliata che appartiene ad un altro disegno.
– Lascialo lì. È il posto giusto.
Un colpo di clacson di una macchina mette il punto esclamativo a questa frase.
– Che razza di consiglio è?
– È quello che dovresti fare. Per capire se è quello giusto o se te ne dovrai liberare. Per vedere meglio quello che ne viene fuori, intendo. Lo capirai da te.
– Cos’è, una frase di qualche personal trainer emotivo?
– No, sto crescendo e sto diventando brava a comprendere gli altri. Quello che mi manca è capire che cavolo voglio io dalla vita.
– Certo che siamo una bella coppia noi.
– Sì, la migliore che riusciremo mai a formare nella nostra vita.
Quei due sorrisi si scontrano e nell’impatto, si fanno un gran bene. Ed è in quel momento, che la neve inizia ad entrare nelle persone: si fa largo nella pelle delle mani, che l’accolgono a palmi generosi con la rinnovata meraviglia della vita. Esplora le bocche spalancate dei bambini che l’ammirano per la prima volta. Ed entra negli occhi dei ragazzi che si giocano tutto in questo presente: nel buio di un’età che sbriciola domande e invece vorrebbe morderne le risposte.
Stanno per iniziare le vacanze, domani è l’ultimo giorno di scuola. Il Natale è quasi esploso e brandelli di auguri vuoti e sciatti riempiono le bocche della folla.
È il giorno dell’esame pratico.
Filippo è seduto con le gambe stese ed incrociate insolentemente alle caviglie. È così che lui affronta la vita. Tra un palpito di luci al led e l’oscurità pomeridiana delle vita reale, attende il suo turno. Questo dominio di sé è stato edificato sulle macerie di un dolore infantile? O questo ragazzo sarebbe comunque stato così? Non c’è variabile della vita che lo faccia sussultare. Il suo viso è invernale nei colori e nelle linee, sembra sia stato dipinto da qualche pittore post-impressionista. Ma lui vive nel 2016 e questo per lui è un gran casino. Ma, c’è un però. Quel giorno nel parcheggio, dei capelli lunghi sono scivolati nel suo sguardo e quel passo forte e coraggioso ha continuato a camminare nella sua testa anche quando è tornato a casa con suo padre. È strano sentirsi così. È bello sentirsi così.
Invece Matteo ha Anna sdraiata dentro di sé e lui la osserva ogni notte. E si osserva mentre la guarda. Perché l’ Amore a 17 anni è fatto di occhiate, baci e sangue che scorre.
Sono quasi le otto del mattino. Ha nevicato tutta la notte, ed è solo l’inizio; in serata dovrebbe ricominciare. Ma è soprattutto l’ultimo giorno di scuola. Oggi o mai più.
Anna questa mattina custodisce gelosa i suoi pensieri in quella grossa sciarpa ad anello che ha attorcigliato attorno al collo. La rimbocca con le mani e così le sembra di tenere più al sicuro tutto ciò che nessuno deve sapere, nemmeno la neve. La campanella fa il suo assolo. Bisogna entrare.
Per le scale, il solito gregge di piumini colorati e scie di sigarette ancora nei capelli. Ma oggi Anna ha deciso che gli si avvicinerà. Perché non è vero che la verità fa male, fa male se non la dici. Quindi sguardo convinto già da quando entra in classe, tanto per far capire che è lei che comanda se stessa e non la paura di non farcela.
– Allora questo è proprio il tuo sguardo. Sembri Daryl di “Walking dead” durante un attacco di zombie.
La vicinanza di questa voce presuppone un’intenzionalità nei riguardi della sua persona.
Ma chi mai potrebbe dirle certe cose alle otto di mattina?
È lui, il ritratto impressionista, appoggiato alla balaustra del corridoio. Le mani in tasca e le spalle ancorate al mondo, davanti al laboratorio di chimica. La posizione è quella di un feudatario moderno nel suo appezzamento di autostima. Praticamente un vassallo con la patente.
La reazione di Anna invece è quella di un comandante disturbato nel momento cruciale in cui incitava i suoi soldati a sacrificarsi per la guerra. Ma lo riconosce: è il ragazzo del parcheggio.
Caricare.
– Questo è lo sguardo che riservo agli scocciatori.
– Lo immaginavo.
Puntare.
– Che vuoi?
– Nulla, vedere se eri una femmina pensante.
Fuoco.
– Ah, ok, allora fammi pensare… ho una domanda per te: perché non te ne vai al diavolo?
Così se n’è andata. E lui lì è rimasto. Abbandonato in quell’imprecazione, come una spolverata di neve a luglio. Forse Filippo ancora non lo sa, ma quando c’è di mezzo l’Amore, una ferita al cuore non provoca la morte, ma ne rigenera la vita. Intanto, fuori da questa scuola, la neve racconta la sua storia alle cose che ha ricoperto. È una storia antica: parla di segreti, silenzi e desideri bianchi.
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