Una vita per raccontarla

16 Giu 2017 | Nonostante mail

Ecco un’altra storia.

Fresca come una goccia di pioggia sulla schiena. Screanzata come la giovinezza. E malinconica come una canzone con gli accordi minori nei punti giusti. Ogni frase di M. dondola tra passato e presente, e mentre scende prende la spinta per risalire con grazia e potenza.

M. è nata all’estero e vive in Italia da qualche anno. Si preoccupa perciò di dirmi che devo perdonare il suo italiano ancora “circa”. Ma ha una consecutio temporum che parecchi italiani non riescono ad assemblare manco dopo la maturità. Per cui la pubblico tale e quale. Perchè l’amore non è mai stata una questione di ortografia o sintassi. Ed io la ringrazio ancora per aver voluto condividere un frammento della sua vita su questa pagina.


Avevo solo 13 anni, lui 17 o 18. Ovvio che non mi ha vista, uno figo come lui non sta a guardare le bambine come me.

Ho poco più di 20, sono sicura che l’ho visto prima. Lui mi guarda con la stessa faccia che devo avere avuto io. Ma dove l’ho visto? Sto per andar via quando lui mi prende del braccio e mi offre un passaggio, ho tanto da fare e non ho nessuna voglia di camminare sotto il sole quindi accetto volentieri. Dopo 10 minuti di macchina e nessuna indicazione, scendo proprio davanti a casa mia. 

Ci siamo ritrovati in diverse occasioni, concerti, feste, aperitivi. Avevamo amici in comune e conoscevo molto bene la sua fidanzata. Non abbiamo mai parlato ma ancora mi chiedevo come fosse possibile che mi avessi portato a casa senza io avergli detto dove vivevo. Una sera lui venne a prendere la sua fidanzata a casa mia, li stavo aiutando a fare una locandina, è stata la prima volta che ci siamo toccati, sfiorati solo per caso. Elettricità, non c’è un’altra parola che descriva meglio cosa ho sentito. Lui non ha detto niente, forse ha detto “scusa” ma i suoi occhi mi dicevano altro che non ho capito. La seconda volta la scossa fu ancora più forte, non potevamo dire niente, eravamo circondati. Ci siamo lasciati sconvolti, in silenzio, neanche un ciao. Non ero sicura di cosa voleva dire o se lui aveva sentito lo stesso, non avevamo mai parlato se non con gli occhi e io, io non sapevo leggere tutto quel nero, profondo, mi perdo, non voglio sapere cosa vuol dire, e allora guardo da un’altra parte.

E fu un giorno di estate che finalmente mi parlò. Ciao mi dice sulla chat, eravamo tanto lontani, in due città distanti, ma quel ciao bastò per parlare per ore. Di lui, di me… era lui chi avevo visto quasi 10 anni fa, e lui, lui sapeva chi ero. Mi ha riconosciuta un giorno che sono andata a trovare la mia coinquilina all’università, lui la conosceva e ha fatto di tutto per portarla a casa, così avrebbe saputo dove vivevo io. È ufficiale, non posso più fare a meno di lui.

Lui la lasciò, per me, lui voleva solo essere insieme a me, e io, io no! Non posso, io la conosco, non posso farle questo, lei lo ama e sta soffrendo. Non posso.

Solidarietà femminile”!!! che grande bastardata!!! Ma perché ci imponiamo delle regole che non fanno che nuocere la nostra felicità?! Perché la felicità degli altri vale più che la nostra?! Non è che una scusa, travestire di lealtà la nostra mancanza di coraggio. Questo che sento è vero, lui mi manca tanto.

Mi sono innamorata di un altro. Lui è con un’altra adesso, se ti dicono sempre NO, c’è un limite anche per il più innamorato. Ma io m’invento motivi per vederlo e copro di amicizia il mio amore tanto bene che neanch’io riesco a distinguerlo più. Con il mio nuovo amore non sono mai stata insieme, adesso penso che forse non volevo neanche esserlo.

Sto per fare 23. Uscì di lezioni e non ci ho pensato due volte, non so perché ma la chiamai. Sono andata a trovarla e le ho detto quel che sentivo, mi sono risparmiata i dettagli, sarà passato più di un anno ma avevo ancora paura di ferirla. Qualcuno mi ha detto, anche se non succede niente, lui merita di saperlo. E al giorno dopo andai da lui. Non rispondevano al citofono ma il custode mi fa salire lo stesso. Suono alla porta ma nessuno risponde e quindi mi giro per prendere l’ascensore e proprio come sceneggiatura di Rom Com Hollywoodiana si apre la porta ed era lui con i suoi occhi aperti forte, sempre neri, profondi, e io capisco che quei due universi neri sono il mio mondo.

Iniziai così: so che ci sono mille ragioni per dire che è sbagliato questo che sto per fare ma solo una mi valida e per quella ragione sono qui, lo faccio per me… Io non ho mai smesso di pensare a te, e so che sei con un’altra adesso, ma dovevo dirtelo, non ti chiedo di lasciarla, solo volevo dirti che io sono ancora qui… Vidi il suo riflesso nella TV, seduto con la testa tra le mani fa passare lunghi minuti in silenzio ma poi mi guardò e sorrise. Era un pomeriggio di primavera, un raggio di sole illuminava i suoi occhi. Io mi sentì finalmente leggera, e me ne andai. Due giorni dopo arrivò da me, e rimase per 3 anni. Ci sono persone che non mi hanno più parlato, pranzi in cui il silenzio e gli sguardi di disapprovo erano terrificanti; domande mai fatte, nessuno me lo disse ma io non avevo permesso per parlare di lui, ma niente m’importava perché ero felice.

Non ho mai più amato così. I suoi difetti erano quello che mi piaceva di più di lui perché le sue virtù erano tante che solo se conoscevi i suoi difetti voleva dire che lo conoscevi davvero. Quello mi faceva sentire importante, unica, il pezzo mancante del puzzle. Lui si dedicava a farmi sentire bella, a incoraggiarmi, a mostrarmi un mondo migliore ogni mattina. I suoi occhi sono oscuri ma non facevano che illuminare la mia vita, lui mi faceva ridere, non nascondeva niente e sapeva tirar fuori di me il meglio anche nei momenti bui. Ballavamo da soli senza musica in salotto, ci guardavamo per ore in silenzio perché sapevamo che a volte quelle sono le conversazioni più eloquenti, ci facevamo il tifo e rimproveravamo a vicenda, eravamo una famiglia; e abbiamo chiuso il patto con un anello.

Il giorno che il mondo crollò, quel giorno del “non sei tu, sono io”, “ti lascio libera”, “lo faccio per te” arrivò il giorno che compiei 27. Lo fece nuovamente su una chat. Eravamo di nuovo tanto lontani, in due paesi distanti, lontani da casa, dagli amici, dalla nostra lingua. Ma la vera distanza era quella tra di noi, e io non ne ero a conoscenza, o meglio, io non l’avevo vista crearsi, piano piano, una piccola fessura si era creata ed era adesso ormai un burrone. Non la vidi mai, ma era li e una storia che inizia così come la nostra non poteva finire diversamente. Doveva essere intensa, violenta, hollywoodianamente drammatica. Son dovuti passare anni per farmi aprire gli occhi e vedere che non ero la vittima, che magari sarebbe potuta finire meglio o meno male, si! ma io semplicemente non avevo visto che la nostra storia non ci apparteneva più solo a noi, eravamo su un nuovo palcoscenico con nuovi personaggi a recitare. Allungarla ancora non era che forzarla a essere banale, una storia in più come tante altre e noi, noi non siamo stati mai banali. Dovevamo percorrere altre strade, ognuno per conto proprio. Io soprattutto avevo tanta strada da fare ancora, da sola. Maledetta cecità la mia, ma finalmente ho capito che la verità non fa meno male, ma fa male meno tempo.

Non ci siamo mai più visti né abbiamo più parlato. Ho saputo che lui si sposò, che aveva il lavoro dei suoi sogni, che stava bene e che era felice. Io ancora non ero arrivata da nessuna parte, ma mi ha fatto onesto piacere saperlo.

E ancora sono passati altri anni e io continuo a perdermi e ritrovarmi. È che forse io non vado effettivamente da nessuna parte, sono troppo concentrata a vivere il presente, ma non farò passare più anni tra di noi mi dissi, e lo chiamai. Verrò dalle tue parti e vorrei trovarti, quando hai tempo?

Il giorno che ci siamo trovati non ero nervosa, ansiosa né preoccupata bensì felice, come quando da bambina a scuola suonava il campanello che avvisa che iniziavano le vacanze. Dopo quel ring! le giornate non potevano che migliorare. Dopo questo incontro non posso che star meglio.

Siamo stati tutto il pomeriggio insieme e fu come se non esistessero orologio né calendario. Sono passati più di 9 anni da l’ultima volta che ci siamo visti e più di 20 dalla prima ma non importava. Non c’erano temi tabù, no c’è stato nessun silenzio scomodo, abbiamo parlato, riso e abbracciato forte e a lungo.

È arrivato il momento di salutarci. Non so se ci rivedremo mai più ma sono contenta perché so che la nostra storia non è finita…

M.


Se volete raccontare la vostra storia, inviate una e-mail all’indirizzo virginia@nonostanteme.com

Pixabay

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