Posso provare a raccontare la mia storia.
O posso provare a raccontare la storia che avrei voluto.
L’abitudine è la rovina dei ricordi! Confonde ciò che ricordiamo come vero e modella quello che si credeva fosse autentico.
Posso provare a raccontare le mie storie.
Hanno tutte un filo comune, sono legate indissolubilmente tra di loro, e la questione “ricordi” non ricopre questa importanza fondamentale; non ci sono dettagli da conservare meticolosamente. Il filo comune sono io.
Io.
Storie, che valessero la pena di essere definite tali, ne ho sperimentate 4 -5 contando il primo grande amore che per me assolutamente così non è stato, ma bisognerà pur avere un primo grande amore no?
Tra una e l’altra, e soprattutto attualmente, sperimento invece un tipo diverso di relazione, basato esclusivamente su un rapporto che lascia “esterno” qualunque tipo di coinvolgimento sentimentale. Almeno da parte mia.
Fatto sta che qualche storia l’ho vissuta. E ciò che accomuna tutte queste esperienze sono io. Io, che non le ho mai amate.
Potrei sprecare righe su righe a dire quanto sia da biasimare, quanto sia cinico, quanto sia egoista eccetera eccetera ma fortunatamente la faccia tosta non appartiene alle mie caratteristiche principali.
Non le ho mai amate.
L’ho detto, l’ho ripetuto migliaia di volte. Quelle due parole che unite generano conseguenze inimmaginabili; meravigliose o disastrose che siano. Ma le ho dette.
E tuttora, mi chiedo se utilizzarle fosse per uno “scopo” riconducibile a tale parola; se invece fossi realmente convinto di provare qualcosa -ma col senno di poi ne dubito- o se mi rivolgessi in realtà esclusivamente a me stesso!
Perché, potrete trovarlo banale, spregiudicato, ma la curiosità e la voglia di poter provare tale sentimento io le nutro davvero. Me lo impedisco da solo, ma una mia parte è troppo affascinata da questo “vortice di pensieri irrazionali” che ti sconvolge la vita. E lo dice una persona estremamente razionale e metodica. La dannazione dell’uomo moderno e scientifico!
Posso dire che sono stato amato, che ho vissuto in seconda persona questo sentimento, e che gli effetti tutt’ora a pensarci mi stupiscono. Pensando a quelle che a distanza di anni, nonostante nel frattempo si siano impegnate o addirittura sposate, continuano a farsi vive. A ricordarmi che, da qualche parte nella loro fragilità, esiste ancora un “noi” di cui facciamo parte.
Questa è forse la parte peggiore, la conseguenza che forse il mio atteggiamento ha generato. E che solo me stesso e con me stesso ne beneficio.
E quando parlo di innamorarsi escludo a priori qualsiasi riferimento a cottarelle o “simpatie carnali” verso qualcuno. Quelle ovviamente chi non le ha mai conosciute.
Ma pochi, molto pochi, si sono fermati alla conoscenza di solo quelle sensazioni.
Tuttavia sono felice di poter affermare senza false ipocrisie che, nonostante me (cit.), non avrò avuto modo né la fortuna di assaporare il piacere e le mille fragranze che l’amore sprigiona da sé, ma che amo me stesso, di questo ne sono assolutamente consapevole.
E, pensandoci bene, preferisco di gran lunga provare questo incondizionato amore, puro e -diciamo- “ricambiato”, che riversare tutte le mie energie per qualcuno che poi magari potrebbe non rendere questa funzione biunivoca, o peggio ancora ritrovandomi, come sempre più spesso posso spiacevolmente constatare, a mettere la mia persona in secondo se non addirittura in terzo o quarto piano.
Oscar la sapeva lunga, quando ancora Dorian era intrappolato nel ritratto della sua stessa mente: “Amare se stessi è l’inizio di un idillio che dura tutta a vita”.
Federico
Sarà che la curiosità è donna (cit.), ma secondo me questo racconto maschile è la reale proiezione ortogonale della delusione degli uomini che io classifico “seri”. Perché ortogonale? Perché il ragazzo che l’ha scritta, analizza la sua vita da vari punti di osservazione: il suo passato di devozione, il suo presente senza impegno e il futuro che deciderà per se stesso, proprio quando il suo presente si sarà in qualche modo compiuto. Suppongo che all’aggettivo “serio” si potrebbe contrapporre quello di “libertino” a seguito dell’attuale atteggiamento da buon rimorchio che nulla avrebbe a che fare con un uomo di antichi valori. Io invece vorrei concentrarmi sulla traccia lasciata nel percorso e mi pare di intravvedere un prolungato girotondo di sviste clamorose, conferme mancate ed inopportuni ritorni. Tutto da parte della compagine femminile.
Illuminazione! Ecco cosa mi ha ricordato.
Avete presente il film “Manuale d’amore”? Ebbene, al tempo in cui uscì, per me rappresentò un’affascinante rivelazione. Chissà, forse fu addirittura il terreno fertile che avrebbe custodito l’embrione di questo blog, nato più di dieci anni dopo. Lì infatti ho capito di essere una disgraziata che crede nelle attese d’Amore. In quel film però, ho adorato la coppia “in fieri” di Giulia e Tommaso. Per me rappresentavano il quaderno nuovo del primo giorno di scuola, i primi secondi dell’inno nazionale alla finale dei mondiali, il taglio della prima fetta di una torta appena sfornata. Di Tommaso, in particolare, ho amato i capelli anarchici e l’intraprendenza risorgimentale nei confronti di Giulia. E proprio lui, una sera e con disarmante verità, le rovescia addosso gli effetti devastanti della volubilità femminile sull’animo maschile. Quella che probabilmente farebbe perdere lo slancio anche ad un nerd romantico come Leopardi o al lentigginoso Richie Cunningham. Perchè se è vero che gli uomini un po’ ci amano anche per quella nostra acrobatica capacità di tenerli sulle spine, forse però a volte riponiamo inutilmente al sicuro i petali, il profumo e le nostre incantevoli sfumature di maggio. E gli uomini, dopo un po’, mi sa che preferiscono pungersi altrove.
Video: dal film Manuale d’amore (di Giovanni Veronesi, 2005)
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