Scostumati, noi.

20 Lug 2017 | Mena-boh

In estate, puntuale come la traccia sbagliata del Ministero all’esame di maturità, arriva la prova costume.

E noi, nonostante la sgragnuola vendittiana di “Notte prima degli esami” non siamo mai pronti all’appello. Arriva però per tutti quello strano giorno di giugno, in cui ci scansiamo dai nostri soliti affari e facciamo questi fatidici quattro conti con noi stessi.

Perché diciamocelo per bene: la prova costume non “prova” proprio un bel niente. La prova costume è in realtà una semplice constatazione (neanche tanto amichevole) di ciò che noi già possediamo come patrimonio genetico-fisico: fianchi, pancia, seno e sedere. Perché il costume copre poco, troppo poco per attribuirgli il concetto estetico kantiano di una camicia alla Tom Selleck o di una gonna tzigana. In contemplazione statica -ma soprattutto stitica- regaliamo la nostra peggiore immagine ad un riflesso specchiato che ci appare fin da subito troppo brutale. Non è come quello dei camerini di Zara, dove le nostre gambe sembrano per qualche minuto quelle delle ragazze-ombrellino ai box del Moto GP. Ma tranquilli tutti, ad un certo punto della faccenda, arriverà sì un ombrello: e quel gesto schioccato dal nostro braccio sarà lineare, franco, liberatorio. Tutto per te, riflesso manigoldo!

“Come mi sta?”, in effetti è una domanda senza senso, perché dovremmo chiederci piuttosto “Come sto con i miei fianchi?”. “E la mia pancetta (che Dio l’abbia in gloria assieme a quei cannoli), che ci racconta di bello a questo punto dell’anno? Il costume è un falso amico, e noi che siamo teneri e ingenui come Accorsi col Maxi Bon, abbiamo pure strisciato il bancomat per ottenere la sua fraudolenta compagnia. E tutto questo perché “madame Estate” ci vuole nudi come pulli caduti dal nido, e questo a volte fa male, ma non per la caduta dal ramo. Perché noi stiamo lì, come dei pischelli sull’autobus, ad attendere il controllore, sapendo bene di non avere il biglietto in tasca. Ognuno conosce bene i suoi punti critici e diacritici. E non c’è atto consolatorio amicale che ci convinca: per questo da dietro il riflesso dello specchio ci ritroviamo ad invocare il sorriso misericordioso di James Blunt che intona la sua “You’re beautiful… (ANYWAY)”. Perchè in fin dei conti, del costume ci resta solo il segno emostatico dell’elastico. Tanto per rinfacciarci che alla fine, ha fatto qualcosa pure lui.

Pixabay 

Song: James Blunt, “You are beautiful”

4 Comments

  1. Gabriella

    Io ormai da anni me ne frego della prova costume (segno di vecchiaia? ) 🙂
    Le mie figlie (17 e 13 anni) danno troppa importanza a questa fatidica “prova”. Ho sentito in casa frasi del tipo: “Quest’anno non vado al mare, sono troppo grassa”. Nota bene: entrambe le ragazze hanno un perfetto rapporto peso-altezza!!
    C’è chi dà veramente troppo peso all’aspetto fisico….Non dico che bisogna fregarsene, anzi, è giusto curare il proprio corpo e il proprio aspetto, ma il troppo……come sempre….. stroppia!

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    • nonostantemeblog

      Condivido pienamente.

      Reply
  2. Ima

    Qualsiasi donna, anche la più migliore, riuscirebbe a trovarsi infiniti difetti ad una prova costume…????

    Reply
    • nonostantemeblog

      Infatti, “siamo tutti vittime e carnefici” di noi stessi (Tozzi docet)

      Reply

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