Lo so, di solito racconto l’Amore.
Quello della gente che prima si guarda di nascosto e poi si bacia davanti a tutti. Su questo blog si raccontano innamoramenti lenti e passioni veloci. Tradimenti più o meno tossici.
E invece oggi vorrei raccontarvi di un Amore differente. Quello per le novità che portiamo nella nostra vita quando decidiamo di fare un “clic” irreversibile sul nostro computer. Così è stato per me a giugno. Ho infatti deciso di iscrivermi ad un trekking di 6 giorni sull’Appennino tosco-emiliano. Nello specifico si trattava di un cammino zaino-in-spalla sulla celebre “Via degli dei”, ovvero l’antica strada romana che collegava Bologna a Firenze. Una distanza di circa 130 km da percorrere in 6 giorni con ai piedi una suola vibram e sulle spalle tanta acqua e una grande scommessa con se stessi.
Ora, chi mi conosce bene, sa che amo andare in montagna e fare scampagnate in Carso. Qui in Friuli Venezia Giulia ci sono tantissimi bei posti per sgambettare allegramente, ma il tutto per quanto mi riguarda si è sempre esaurito nell’arco di una dozzina di ore fuori casa. Quindi questa era per me assolutamente una novità. Mi sono chiesta: “Non sarà troppo per le mie capacità?”. Ma (s)fortunatamente per me, mi ritrovo in quella fase della vita in cui se una cosa mi attrae ed è deliziosamente complessa, mi ci tuffo per bene per vedere di che pasta io sia fatta. È l’Amore per quello che ancora non so e che vorrei imparare.
Così sono partita dalla mia Trieste col treno delle 5.15 per arrivare a Bologna alle 9. Lì ho conosciuto i miei compagni di viaggio e la guida ambientale che ci avrebbe accompagnato. Perché ok l’avventura, ma non sono ancora pronta per un cammino in solitaria nel bosco, armata di tenda e coltellino multifunzione.
Davanti alla stazione dei treni eravamo una decina di mani che si sono strette nel magico brivido di un nuovo inizio. Diverse cadenze, toscane, emiliane e umbre. Mi sentivo un po’ la migrante del nord-est che viene a cercar fortuna in un altrove non ancora ben definito. Ma il mio, era l’Amore per il nuovo, per l’ingovernabile. Eravamo tante facce nuove che km dopo km si sarebbero trasformate in una visuale rassicurante durante la progressione all’unisono. Ma questo l’abbiamo scoperto dopo.
Così la scalinata che da Bologna porta a San Luca ci ha da subito abbracciati con i suoi archi per farci sentire accolti in quello che ancora non eravamo. Anche quella era una primordiale forma d’Amore. Sarebbero stati i passi, la maglietta perennemente umida di sudore e le avide boccate d’acqua alla borraccia a renderci tutti uguali. Uguali nello sforzo. Uguali nella fatica.
La sera del primo giorno ero talmente stanca che farmi la doccia è stato uno sforzo fuori scala. Un jolly che mi sono giocata scendendo a patti miseri con me stessa. Mentre disinnescavo dai miei piedi la tagliola degli scarponi, mi sono detta: “Mi do una lavata e domani chiamo a casa”. Ma anche solo il pensare a questa frase mi faceva male, assieme a tutti gli adduttori. Le mie gambe infatti erano un segmento di sofferenza che partiva dalle vesciche sull’alluce e sul mignolo, si intratteneva con disinvoltura sui polpacci e poi si spalmava senza preavviso nell’interno coscia.
Ammetto che per un attimo (o più) ho pensato di aver calibrato male la vacanza. Forse sarebbe stato meglio andare a Parenzo a mangiare palacinke. Ma oramai ero in ballo e, a modo mio, ho ballato. La musica di accompagnamento però, è stata lo scrocchio dei sassi sotto ai nostri piedi, curva dopo curva. E poi il fruscio di un vento leggero che accarezzava la goccia di sudore sul retro del collo. Al momento non sapevi se gioire per l’attimo di frescura o temere la crudeltà di una imminente cervicale notturna. Ed infine, il suono di quello che ad ognuno di noi rimbombava nella testa. I nostri pensieri, i nostri ricordi, i dialoghi lasciati in sospeso a casa. La voglia di concluderli, di affrontare altre cose impegnative. Perché quella che stavamo facendo era una cosa seria. Il sole d’agosto ce lo ricordava ad ogni respiro che asciugava la lingua e la gola. Eppure quella fatica ci faceva ipotizzare che in futuro avremmo potuto fare altre cose, ancora più difficili. Ecco che la magia si stava compiendo. Era l’Amore per quello che stavamo facendo per noi stessi.
I giorni così si sono sparpagliati tra colazioni condivise, donazioni di cerotti e stelle cadenti che sono crollate sopra il cielo della nostra ultima sera assieme, in quel di Olmo.
Ma questa volta il mio San Lorenzo è andato tutto a rovescio. Infatti prima mi si è esaudito il desiderio e poi è arrivata una stella per farmelo esprimere. È andata così. Ed ecco perché amo le situazioni ingovernabili: perché ti regalano cose che non sapevi nemmeno di volere e che potresti avere.
Chissà quante altre stelle a rovescio arriveranno. Per adesso non lo so. So solo che ad oggi ho una gran voglia di camminare verso altre cose belle.
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