Ci siamo.
Sta per partire la filastrocca dei pacchetti rossi e delle mani che passano dalle tasche alle strette vigorose.
Il 24 e il 25 dicembre sono degni compari. L’uno spalleggia l’altro, forti di una titolarità che li rende invincibili tanto col Grinch, quanto col primo paio di calze che scarti a mezzanotte e cinque.
Non sono pronta.
A dirla tutta non mi impegno nemmeno per esserlo. Non è più una questione religiosa da tempo e se ci penso bene, forse non lo è mai stata.
Io vivo a Trieste e qui inizia tutto con San Nicolò. San Nicolò è un omone che, come da contratto decembrino, ha la barba bianca, un bastone pastorale e un asino connivente. La notte del 6 dicembre San Nicolò porta i doni ai bambini buoni. Buoni, quasi quanto il miracolo dei pandori Melegatti.
Ecco, da lì in poi è una molla che si carica ad ogni grasso e grosso “Oh-oh-oh!” e guai a lasciarla andare prima del momento scintillante: come minimo si rischia la frattura del setto naTale.
So bene che potrebbe essere anche per me un periodo morbido come due pom-pom di lana bianca. Ed io invece me li lascio sfuggire dalle mani per farli cadere nell’unica pozzanghera presente nei paraggi. Che disastro.
I canti natalizi poi, mi si incastrano tra i capelli e così rimango perennemente impigliata negli accordi di “War is over” e il sorriso timido di Michael Boublé.
Da sempre preferisco i silenzi del Natale. Quelli che ti lasciano navigare con lo sguardo tra le luci ad intermittenza e le nuvolette di vapore che l’aria di fine anno si porta via. Inoltre ho scoperto che sono di gran lunga più amica dei giorni che seguono il Natale. Quando la tovaglia buona si è un po’ macchiata e la nostra coscienza si sente a posto nei confronti del calendario.
E poi ci sono i regali.
Quest’anno con i miei amici siamo riusciti a vincere la tirannia del dono da consegnare in una mano e abbiamo deciso di non scambiarci doni materiali, ma di regalarci qualcosa che vale molto di più. Abbiamo scelto infatti di donarci un pezzetto della nostra vita per condividere del tempo assieme. Così abbiamo sostituito l’attesa alla cassa di un negozio, con un divano su cui rotolare ridendo un bel po’. Abbiamo imprecato in coro perchè la fila per andare a pattinare in piazza Ponterosso era infinita. Mi è rimasto impresso uno starnuto che mi è arrivato addosso al posto di un bacio. E ho ricevuto una telefonata che scivolava nella gioia ad ogni “Tu mi conosci…”. Credo davvero di non essere mai stata così tanto me stessa come in questi momenti. Per questo voglio ringraziare le persone a me vicine. Per aver scelto me per condividere le loro vite e l’intimità delle loro case.
Ma la verità va detta tutta: quest’anno ho ricevuto anche un regalo concreto. Ho incontrato una persona che vive lontano e che per questo vedo raramente. A dire il vero ci conosciamo ancora poco, ma qualcosa ci spinge a raccontarci molto. Appena ci siamo visti, in piazza Unità, aveva un cuneo di legno che gli sbucava dalla tasca della giacca. Sì, proprio un cuneo, di quelli che si usano per fermare le porte. Le volte in cui ci incontriamo, non manca di presentarsi con questo oggetto. È stato l’apice di quella giornata. È una cosa stupida tutta nostra e come tale la reputo speciale.
Perchè ormai credo che avere una cosa deficiente da condividere solo con qualcuno, sia la cosa più seria di questo mondo.
Alla fine di tutto questo quindi, cosa accadrà? Che mi ritroverò seduta sul divano a guardare l’ennesima replica di “Una poltrona per due” e mi sorprenderò ancora a ridere come una scema alla battuta di Eddie Murphy: “Pronto sorveglianza…? Buon Natale a tutti!”.
Questa sono io a 38 anni e rotti. E mi chiedo se non sia già tutto bellissimo così.
Immagine: Pixabay
Video: Trading Places (1983)
Bella l’idea di regalarsi del tempo….mi piace!
In effetti nei giorni prima del Natale lo stress è alle stelle, tra la scelta del menù, lo spesone e la corsa agli ultimi regali…Uff!!
Ciao Gabriella! Infatti, bisogna uscire da questa logica illogica! Vediamoci presto!! 🙂