Lui è la pelle calda e morbida dopo la doccia.
Ha braccia sagge e basette curate. Lui domanda “Cosa posso fare per te?”. E siccome te l’ha chiesto, a te non serve nulla. Ti senti rassicurata da un letto a baldacchino che lui stesso ha assemblato una domenica pomeriggio: per l’occasione ha usato tasselli, amore e drappeggi. Mentre leggi un libro di sonetti al gusto di liquirizia, lui è al di là del fossato del castello e veglia paziente l’orizzonte che si spalanca oltre il bosco.
L’altro è uno sguardo che ti sbottona lentamente e alla penultima asola ti spinge al muro. È uno scarabocchio di capelli scuri e sfrontati. Con l’altro, lenzuola e notte si mescolano nelle labbra e nelle dita. È il sale del mare d’inverno che ti ferisce le guance e le nocche. Ma quando esausta ti inginocchi, l’altro consola l’indifesa nuca con un bacio. E un altro ancora.
L’altro mi scorda e poi di me si ricorda. Mi perde e mi cerca. Di continuo. Ed io so bene che valgo di più di un suo sms che biascica un “Con me non sarai mai sorridente”. Ma le sue parole affondano nelle mie crepe, come un bambino che per la prima volta vede il mare e con la piccola mano cerca invano di catturare l’acqua.
Lui invece ti dona il suo tempo, anche quando non lo sai. Ma per questo si dimentica di sé e in questa vita si smarrisce se non ti può guardare negli occhi. Glielo dici. E lui ti risponde “Non posso fare altrimenti”. Così, mentre ti sfiora la guancia, incassa il pugno di chi ha capito che sta amando di più. Ancora una volta.
So bene che non posso oscillare tra misericordia e passione. E questo perché il mio dilemma non è nè lui, né l’altro. Sono io. Sempre e solo io.
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