Fresca fresca di “dobar dan” e “hvala” (“buongiorno” e “grazie” in croato) usati come passepartout, eccomi qui a gambe incrociate a mordicchiarmi una pellicina dell’anulare con il ricordo colorato di Zagabria nella testa. Una città che mi ha accolto con il fischio del filobus in piazza Bana Jelacica e un tramonto incastrato nelle torri della cattedrale.
Quest’anno a Pasqua la Croazia mi ha strizzato l’occhio destro, mentre Gab – quando gliel’ho proposto – ha fatto altrettanto con il sinistro. Quindi zaino in spalla siamo partiti, con la stessa aria rilassata di chi fa una gita fuori porta. Per chi come noi vive nel nord-est d’Italia infatti, l’oriente continentale non è una meta troppo esotica e in una manciata di ore si arriva a destinazione.
Tante le cose belle che ho visto. Ma una in particolare ha attirato la mia curiosità romantica già prima di partire. Sto parlando del “Museo delle relazioni interrotte” (il cosiddetto “The broken relationships museum”). Una sorta di mausoleo del “Non ti amo più”, del “Non sei tu, sono io!” e del “Cara, non è come sembra, posso spiegarti tutto!”.
Qui c’è roba interessante, ho pensato.
Il museo si trova nella città alta, vicino alla coloratissima chiesa di San Marco ed esiste da una decina d’anni. Secondo me chi l’ha fondato ha avuto un’idea geniale. Perché è il museo di qualunque cuore spezzato: l’identificazione per analogia da commiato sentimentale è quasi immediata. Infatti chi di noi nello sgabuzzino accanto ai cacciaviti e al piumino per spolverare non ha il proprio arsenale di lettere, ciondoli e biglietti di concerti di dieci anni fa? Come si fa a non immedesimarsi e a non sorseggiare qualche storia disperata che faccia compagnia alle nostre passate delusioni? Quindi, entriamo.
Su piedistalli verticalmente illuminati da lucine chirurgiche, è iniziata la nostra carrellata dell’amore con contratto a termine. Una bicicletta arrugginita, un vecchio mangianastri con una voce registrata, un abito da sposa per un matrimonio durato pochi mesi. Addirittura una protesi. Ogni oggetto aveva la sua storia, raccontata a lato. Oramai gli restava solo quella. Noi visitatori con passo lento e silenzioso passavamo in rassegna ogni oggetto inanimato. Sembravamo gli invitati non invitati ad una cerimonia solenne, in cui porgevamo un omaggio silenzioso alle esequie dell’Amore.
Forse l’oggetto che mi ha impressionato di più è stato l’ammasso di resti di una videocassetta VHS. Lì dentro c’era il video delle seconde nozze di un uomo maturo, sfruttato (pare) da una giovane mogliettina un bel po’ opportunista. Sembra che la figlia avuta dalle sue prime nozze abbia trovato questa videocassetta dopo la morte del padre e non ci abbia pensato troppo prima di passarci sopra più e più volte con la macchina.
Ho pensato che questi sono tutti oggetti che in altri tempi si sono fatti accarezzare da un’emozione che oggi è ormai estinta. L’ Amore sarà anche un sentimento e per questo classificato come qualcosa di astratto, ma tutto questo museo è più che concreto. Noi tendiamo a manifestare il nostro stato emotivo con opere e oggetti concreti. Ma senza di noi questi manufatti non hanno più l’originario significato, se non quello di un ricordo, che galleggia nel 1998 o nel 2003.
All’uscita ho comprato la maglietta del museo. Un ricordo concreto di quello che ho visto e vissuto. Era troppo bella per lasciarla lì. 🙂
E voi? Avete conservato dei cimeli delle storie passate? Appartenete alla categoria che butta tutto o siete degli accumulatori seriali di stralci del passato?
A presto!
Virginia
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