Tu eri appena partito, ed io ero rimasta in equilibrio sulla linea gialla del binario 2.
Il cielo di quel giovedì era freddo, c’era la bora a Trieste. Ma c’eravamo anche noi, che non sapevamo più che tipi eravamo stati soltanto il mese prima. La mia mano nella tua mi aveva ricordato che esisteva un posto per le persone che si scelgono. Tu che eri riuscito lì, dove altri avevano rinunciato.
Sono sempre stata una donna complicata. Mi annoio agli aperitivi, non parlo degli spinaci in offerta al supermercato e per me Natale non passa mai troppo in fretta. Eppure tu mi prendi in giro perché sono triestina e tu udinese e quindi dovremmo odiarci, se non altro per tradizione regionale. Ma quel giorno, invece di chiedermi “Che fai nella vita?”, la tua domanda è stata “Dove posso trovare dell’uva decente nel nord-est?!?”. Siamo partiti dalle nostre vergogne e dalle nostre paure. E alla fine ci siamo detti i nostri cognomi. Non eri ossessionato dall’idea di piacermi, e per questo mi sei piaciuto.
In un messaggio mi hai chiamato “beltà giuliana” e quando abbiamo mangiato in quella trattoria con la tovaglia a scacchi bianchi e rossi mi hai agganciato con le gambe sotto al tavolino. Da quel che ricordi, non ho tentato di fuggire. Mi racconti delle luminarie davanti a casa tua, le stesse di quando eri piccolo ed io non smetto di ascoltarti nemmeno quando stai in silenzio. Tu che mi fai ascoltare “Torna a Udine” di Ruggero dei Timidi prima di baciarmi tra quei sedili che sanno di ciliegia.
Quando capisco che stai per trafiggermi con la tua voce, io ti lascio fare. Perché sono le uniche ferite che mi danno piacere. E perchè sei tutte le cose che non riesco a pensare.
Virginia
Immagine: Pixabay
Song: Torna a Udine – Ruggero dei Timidi
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