La mia prima full immersion di scrittura toscana è terminata ieri al binario 3.
Giorni difficili e avanguardisti allo stesso tempo. Eravamo 44 gatti a Baratti, donne e uomini provenienti da varie zone d’Italia. E Roma la sentivi un po’ ovunque. Mi piaceva.
Da triestina abbonata all’Adriatico, ho apprezzato anche il mar Tirreno.
Penso sia stato merito dell’entusiasmo verso il nuovo, se è stato facile fare il primo tuffo. Ciabatte disarcionate accanto all’asciugamano, passi audaci verso la linea di contatto con l’acqua. Poche bracciate, il senso pieno di sé. Una volta che la spiaggia era alle mie spalle però, mi sono accorta che ho iniziato ad annaspare. Imbarcavo acqua un po’ da tutte le parti. Non sapevo più nuotare. È stato progressivo, inesorabile. Martedì verso l’ora di pranzo ero quasi completamente sotto.
Per la prima volta, ho realizzato che quello che dovevo scrivere non ero io. E da lì sono iniziate le rogne.
Quella in Toscana doveva essere una full immersion nella scrittura. E siccome la scrittura da sempre coincide con me stessa ed i problemi sulla mia esistenza, le due cose hanno iniziato a molestarsi a vicenda. C’ero io là in mezzo che bevevo l’acqua e sputavo. E poi bevevo ancora.
Poi l’onda mi ha dato una tregua. Una voce occhialuta proveniente al di là delle boe mi ha urlato “…e poi?”.
“E poi che?”, ho pensato io, piena d’acqua e vuota d’ossigeno.
Io vivo il presente, che tra l’altro mi dà già i suoi problemi. Come posso dedicare le mie energie ad un futuro che – arrivati a questo punto – probabilmente non scriverò?
Lì per lì non l’ho colto. Ma “POI” ho capito una cosa. Che non riuscivo a nuotare perché molto probabilmente io stessa volevo essere un’altra cosa. Una cosa nuova. E volevo far morire quello che avevo scritto fino ad allora. L’annegamento poteva essere un incidente valido. Ero diventata l’aguzzina della mia prosa e della mia sintassi.
Tutto questo tormento è stato intervallato da pause tra praterelli all’inglese e goliardiche cene con i miei compagni. Non l’ho ancora completamente risolto, e credo ci vorrà ancora qualche migliaio di pagine di qualcosa. Tanto vale, ormai ci sono dentro.
Non ho la soluzione tra queste righe e non credo nemmeno sia onesto avere a tutti i costi un lieto fine. Et voilà, ecco aria nuova dalla finestra.
Quindi ora passo a voi (esiste una narrazione in seconda persona plurale? Vabeh, io la faccio lo stesso), per dirvi il mio grazie.
Grazie per esserci stati. Perché se ho imparato tanto è stato soprattutto grazie a voi, che avete scritto e letto ciò che sentivate e ciò di cui avevate bisogno. E poi ho imparato da quello che mi avete detto e anche da quello che in certi momenti avete taciuto.
Grazie quindi a Natalia, Serena, Claudia. Grazie al Granaio 15 e a quel tavolo con le chiavi addosso. A quel divano stropicciato, più dalle nostre domande che dai nostri sederi.
E poi grazie a Dunia, Giorgia, Paolo C., Serena-Brunori, Susanna, Paolo B., Lidia, Luca, Prita, Maria, Monica, Sabina, Grazia, Silvia, Federica. Tutti diversi, tutti importanti.
E anche se non eravamo nella stessa classe (del tutto irrilevante), grazie ad Emanuela, Laura, Maria Giulia, Giangiacomo, Erica, Giada, Valentina, Anna, Amedea…e a tutti gli altri.
Naturalmente non posso non ringraziare i miei maestri, quelli che da oltre la boa mi urlavano le domande giuste da farmi. Quindi grazie a Metallo. E ad Alice, Lucia e Luigi.
Ora ho davvero finito.
Vado a lapidare i miei eroi.
Virginia
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