Non siamo fidanzati, né siamo mai stati insieme.
Non mi risulta nemmeno che noi due siamo amici: non facciamo le cene in pizzeria e non ci organizziamo per andare assieme al mare al sabato pomeriggio. A dirla tutta, noi due ci scansiamo di continuo, anche quando non ci incontriamo. Eppure a volte immagino ancora le mie dita che giocano con i tuoi capelli neri su quel divano. Il tuo profilo è accanto al mio e sembra quello di una fotografia degli anni ’40, dove però ci sono solo persone che non conosco. La tua mano destra sulla mia gamba segue la cucitura dei miei jeans e disegna la nostra eterna linea Maginot. Perchè altro non siamo che lettere esplose di parole mai dette e granate di pioggia deflagrate tra quei coraggiosi rami di pino.
È già passato un anno.
Tu, che sapevi camminare al mio fianco facendomi sentire il tenore del tuo passo. Le tue spalle raccontavano la calma del tuo corpo. La tua voce, aveva sempre qualcosa da insegnarmi. Poi arrivava un momento di te che mi teneva in ostaggio, e da quanto io ricordi non ho mai tentato di evadere. Accadeva quando mi parlavi e mi guardavi negli occhi nell’abbrivio di un respiro. Poi mi lasciavi lì, mentre il tuo sguardo cercava altrove la risposta che non siamo riusciti a trovare per noi due. Intanto nella nostra testa arrivava il bacio che non ci siamo mai dati. Ancora una volta.
Ricordo il rimprovero del mare che quella notte mi ha spinto verso di te. Così ho trovato un coraggio che non era il mio. L’ho preso lo stesso, perché in quel momento mi serviva.
“Posso provare a fare una cosa?”.
Le tue mani ancora in tasca. Quel sorriso come sempre pronto a qualsiasi catastrofe. Ho fatto un passo che ha riempito di colpo quel nostro mese di maggio. Finalmente vicini, i nostri cuori per la prima volta si sono fiutati. Mordicchiati. Spaventati. Una doppia sistole che ci stringeva nelle braccia e nel tuo mento appoggiato alla mia spalla.
Ci siamo scritti, ci siamo letti. Abbiamo fatto i bravi e abbiamo contato addirittura fino a due, ma non ci bastava mai. Abbiamo imparato ben poco l’una dell’altro. Così sul crinale dei quarant’anni, per il nostro bene abbiamo deciso di nominarci genitori di noi stessi. Di colpo siamo diventati gli adulti che non giocano più, che non si sporcano più, che non tentano più di disubbidire ai lividi dei loro cuori. Il nostro tempo, già archiviato, come le nostre conversazioni al telefono.
Mi piacevi. E non piacevi solo a me, ma so che saresti stato simpatico anche a quel mio futuro che non ti ha mai conosciuto. Se ora ti vedessi, forse potresti dirmi che sono la ragione per cui esiste una prospettiva che non restringe gli oggetti lontani, ma li amplifica e li rende più veri. Allora io potrei trovare il modo di ingannarmi ancora una volta e nascondere il tradimento di me stessa nel tuo abbraccio. Ma non accadrà.
Con te ho imparato che l’ispettore Zenigata non deve mai acciuffare il suo Lupin, altrimenti finirebbe in un attimo tutta quella meravigliosa serie di inseguimenti che ancora oggi ci tengono in vita entrambi.
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