Questa grande casa di legno sgranocchia sbadigli e risate già dal mattino. Qui a Sappada, tanti volti, tanti passati. Ma in questi giorni di fine dicembre, viviamo tutti un unico presente. Da condividere. Da spartire. Tra accenti diversi e parlate che si strizzano l’occhio ad ogni virata di dialetto. È gelido il sole delle nove e l’azzurro lì fuori è infrangibile; il termometro balbetta i cinque gradi sotto zero, ma dentro questa casa è già estate. Lo sussurrano le grandi teiere colme d’acqua che scoppiettano allegre in questa vivace cucina: qui, in un antico rituale attorno al fuoco, ragazzi e ragazze assonnati attendono il compiersi del miracolo della colazione. Nella grande sala il glorioso calcetto dorme esausto e le sedie abbandonate in inedite posizioni, spifferano indiscrete le conversazioni della sera precedente. Perché qui è tutto un palpito di porte che si aprono, di sedie che si accostano e parole nuove che si intrecciano. Le finestre rovesciano il senso di se stesse e sbirciano all’interno delle grandi vetrate, seguendo curiose lo spettacolo della vita che scivola tra le persone. E non c’è istante ora che non valga la pena di essere sorseggiato o mordicchiato. Perché non è tanto quello che qui stiamo facendo, ma chi siamo mentre lo facciamo. Sarà anche un po’ merito di queste rassicuranti scodelle anni ’80, ma quanto bella è questa atmosfera retrò da cortile del palazzo: dove bastava un fischio ed il gioco iniziava.
Nel gelo dell’inverno, questo Capodanno è fiorito così: in un vapore di risate, canti e bicchieri che schioccano l’uno nell’altro come un bacio che non scordi.
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