Oggi, come diversi miei amici ultratrentenni, ho seguito la maratona di Bim bum bam su Mediaset Extra. Una cavalcata di dieci ore tra storici spezzoni con Paolo Bonolis, Manuela Blanchard e il pupazzotto ipersopraccigliato Uan; come contorno, una sgragnuola di cartoni animati dal lineamento ruvido e battute smerigliate (“Pollon”, “Hello Spank!”, su tutti). Ammetto che mi sono sentita di nuovo, la bambina di 30 anni or sono. Fa paura scriverlo, e pensarlo è ancor di più uno scandalo della memoria a lungo termine. Ma è così. I miei occhi hanno rivisto oggi, con la consapevolezza di un adulto, ciò che la mia trasparente inesperienza di bambina, amava senza condizioni. In verità, temevo che lo spettacolo mi sarebbe risultato troppo ingenuo e poco sopportabile, come accade quando oggi rivedo le puntate di “Beverly Hills 90210”: Dylan ha sempre le camicie troppo larghe e il silenzio con sfrigolio tra i dialoghi di Brandon e Andrea mi causa microlesioni al martelletto. Gli sfondi del liceo “West Beverly High” inoltre, sembrano tinteggati con un inopportuno filtro Nashville e tutto sembra rollato in una cartina anni ’90. Bim bum bam invece è rimasto fedele a ciò che ci aveva promesso nel 1986. Innanzitutto è una trasmissione per bambini che parla all’infanzia senza paracolpi o tutori verbali. I dialoghi tra i fantastici tre seguono un canovaccio narrativo, ma è evidente agli occhi di qualsiasi adulto (quale anch’io si presume oramai sia), che l’improvvisazione afferra le risposte dell’interlocutore e le trasforma in nuove repliche e nuove situazioni. Questa è un’autentica magia, che oltrepassava lo schermo dei televisori con tubo catodico già allora e si è riproposta senza indugi in una domenica mattina del 2016. I bambini sono solamente piccoli esseri umani, non devono essere trattati come scemi. Basta quindi con quelle frasi gigioneggianti che abbondano oggi nella comunicazione con i fanciulli; Bim bum bam è stato tanto amato dalla mia generazione perchè finalmente ha elevato l’infanzia ad un’epoca di vita alla quale finalmente veniva conferita dignità nella interazione col mondo adulto. E noi quasi quarantenni, ci ricordiamo ancora oggi questo avanzamento di carriera. Bonolis era talentuoso in questo già allora: formulava a raffica enunciati semplici farciti da un lessico qua e là ricercato, come poi ha continuato a fare in tutta la sua brillante carriera. Manuela leggeva le letterine della posta (quante ne ho spedite, per poter vincere il costume di Carnevale di Creamy!), salutava con garbo i bambini e faceva i complimenti per i loro disegni come farebbe oggi un adulto ad un artista sconosciuto di cui ne riconosce oggettivamente il valore. Grazia e formalità. Sdrammatizzata dagli strafalcioni verbali del cagnolino rosa Uan, che alla fine della fiera, era deliberatamente più infantile del pubblico che lo seguiva. Bim bum bam era un piccolo miracolo di emancipazione bambinesca che sgorgava fresca fresca tra i cubi della scenografia multicolore. E i tuoni del produttore (“Brandolin che parla!!!”) erano semplicemente le zampate di un lupo cattivo-molto buono. Ebbene io dico grazie a tutto questo. Perchè nell’86 eravamo bambini fortunati, un po’ anche per questi programmi.
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È invecchiato bene. Però oggi non potrebbe esistere un programma come bim bum bam. Perché? L’idea del contenitore di cartoni è anacronistico: con Netflix ci siamo abituati a vedere tutte le puntate della serie (animata) che ci interessa, senza interruzioni. L’invio delle letterine (oggi probabilmente email con un bel copia incolla di qualche foto trovata su Bing) sarebbe oggetto quotidiano di denunce da parte di offesi genitori dei bambini che non hanno ricevuto il premio (un bellissimo cd di canzoni della Amoroso piuttosto di Alvaro Soleil), nonché l’uso di un linguaggio troppo complicato da comprendere da bambini che, abituti dai teletabbis, probabilmente parole come “debosciato” non le sentiranno prima dei 36 anni… Che tristezza!
E’ vero, ogni programma televisivo di successo si incastra nel contesto temporale che lo ha visto nascere. In 30 anni l’infanzia è cambiata… si è precocizzata, se vogliamo. Credo che gli anni ’80-90 abbiano tutelato l’ultimo spicchio di età ingenua che era in noi. Oggi i bambini sono molto più reattivi dal punto di vista verbale e visivo rispetto a ciò che eravamo noi (touch screen docet). Per contro, manca forse un’attitudine pratica alla risoluzione delle piccole crisi quotidiane. Per noi era sufficiente una bella azzuffata con nostro fratello sul divano e risolvevamo tutto. E se qualcuno si faceva male, guai ad andare a lamentarsi dalla mamma. La chiamerei “omertà dignitosa tra gentil-bambini” 😀