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Quanta forza può avere il ricordo del nostro ultimo amore?
Quello che sappiamo che è ormai finito, sfinito, corroso. Quell’amore che riporta la data di un anno diverso dal calendario appeso in cucina. Quello che “il fuoco si è ormai spento”, eppure noi ci sentiamo ancora cotti. Ma per quale motivo quando non abbiamo nessuno sottomano da amare, continuiamo a dare rilevanza sentimentale a chi ha dichiarato (confermandolo pure con il silenzio) di non volerci più? È una tagliola cronologica, un gioco crudele del nostro cuore che per la prima volta nella sua vita (quando non serve più) si accorda con il cervello. I due balordi hanno fatto questo losco affare durante le notti del lockdown. Quelle in cui tutti siamo stati reduci da troppe ore passate davanti ad uno schermo con una mano sul mouse e l’altra immersa nel pacchetto dei Fonzies.
Allora iniziamo a credere che quando stavamo assieme al nostro ultimo amore eravamo belli e innamorati. E che quella volta abbiamo esagerato ad arrabbiarci. Non era mancanza di rispetto, ma semplicemente eravamo noi ad essere suscettibili. Che poi quell’altra volta in vacanza a Mykonos ci siamo divertiti, anche se in realtà ci eravamo annoiati nella conclamata routine di noi stessi.
Quando si vive un lungo periodo da single, i ricordi degli amori passati alterano i colori delle foto e li fanno sembrare più vivi, quando invece sono in avanzato stati di necrosi. Questi brandelli di amori esauriti sono i peggiori. Perché seppur ormai seccati all’aria, mandano all’infinito i titoli di coda in un cinema che ha già abbassato la serranda dell’ultimo spettacolo.
Sono gli amori senza futuro a cui noi tentiamo di regalarne uno teorico, a senso unico e per questo del tutto autoreferenziale. Sono storie di ologrammi che si nutrono del silenzio che lascia una carezza che non è mai arrivata. Di un messaggio che non è mai stato spedito. Di una promessa che non è stata mantenuta.
Perché quando non riusciamo ad andare avanti abbiamo bisogno di tornare nel nostro ultimo posto d’amore, anche se lo avevamo lasciato in quanto avevamo appurato che non fosse più un luogo sicuro.
Quello che dovremmo fare invece, è allontanarci da questa associazione a delinquere messa in piedi da un cuore malandato e da un cervello connivente, per trovare finalmente un modo nuovo per fantasticare il nostro migliore futuro. Non dobbiamo farci fregare.
Quindi stavolta propongo che sia un altro organo vitale a guidarci nel post-rottura, qualcuno di storicamente meno coinvolto. Forse i reni, o – perché no – la cistifellea. Organi nuovi che si propongono alla nuova letteratura romantica, quale supporto divergente alla classica rima cuore-amore. Lancio quindi in questa sede il binomio “intestino-non era destino”, auspicando un cambio di rotta rispetto allo stato d’animo sofferente di chi come me, ravana ancora nel passato in cerca di tartufi e invece ci troverà soltanto muffa .
E voi a quale organo inedito affidereste la vostra malinconia d’amore?
A presto romantici contemporanei! 🙂
Virginia
Immagine: Pexels
Lo stomaco, versione proletaria del cuore: cartina tornasole immediata di ansie, dolori… felicità. Lo stomaco non mente, è concreto e ricorda bene tutti i magoni che ha dovuto sopportare assieme a noi.
Hai ragione…lo stomaco non mente, anche se “non è mente”.
E questo sarà in eterno la mia condanna.