Il controllore è appena passato e con la sua pinzetta biforcuta, ha obliterato la mia follia. Come al solito, tra le stazioni di Padova e Vicenza, salgono greggi di studenti dagli sguardi infeltriti. Mi pascolano attorno con la disinvoltura degli youtubers e la grazia di un like sofferto. Nell’atto di colonizzare i sedili, scansano i miei piedi arresi. Io invece me ne sto qui, con i miei quarant’anni e un’assemblea di condominio programmata per martedì.
Sono già passati sei mesi dal nostro addio.
Un sabato di novembre invece, ho iniziato il mio nomadismo nostalgico sui treni del nord-est. Questo è il viaggio in cui acquisto i biglietti on-line come una ragazzina del liceo. Spendo 21 euro e 60 centesimi per fare un viaggio di andata e ritorno senza in realtà andare da nessuna parte. Non ci sarà infatti nessuna nuvola di vapore che mi aspetterà oltre il freddo di quella linea gialla. Così, quando avvito la chiave nella serratura prima di avviarmi alla stazione, racconto tutte le mie migliori menzogne alla porta di casa. Accade ormai ogni sabato pomeriggio. Questo è il mio sesto viaggio a vuoto. Mi sposto da un punto A ad un punto B per riempirmi di un senso che non ho più. Salgo sul treno dei desideri di chi non può più desiderare niente. Nel bagno abbandonato al confine del vagone, ho fatto amicizia con le macchie dello specchio e il mio sguardo country appassito. La mia vita oramai cammina con le scarpe slacciate. Ma il rumore delle rotaie -in qualche modo- mi sostiene quando sto per cadere. Non so come faccia.
Oggi non è diverso dagli altri viaggi. Io non sono diversa. Una disgrazia ambulante che prende il treno una volta alla settimana per arrivare come un’amante orfana nella tua città. Duecentoquaranta chilometri di tempo sospeso per simulare un incontro che non avverrà mai, perchè tu non sai che sto arrivando. Tanto, pur sapendolo, non verresti.
Ora c’è lei, che la sera ti riempie il bicchiere mentre il telegiornale ripete all’infinito i fallimenti del nostro sistema pensionistico.
Ma su questo treno mi sento di nuovo una donna che ha qualcosa di bello da custodire. È la mia nuovissima fiaba, in cui salto deliberatamente la parte brutta della mela avvelenata per soffermarmi invece sulle luci della sala da ballo. E seppur a tempo determinato, quando nel buio del ritorno vedo il mio riflesso nel finestrino, mi dò la risposta a “quella” domanda. Quella che mi è caduta a terra come un orecchino. Vado a tastoni, non la trovo. Eppure ho comunque la risposta. La grido in silenzio a me stessa, mentre là fuori le luci scivolano veloci e mandano i titoli di coda di questo mio film senza nessun colpo di scena.
Images: Pixabay
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