Le risposte degli esami arrivarono in una settimana.
Il referto era un foglio con fregi negli angoli e qualche cuore aggrappato sul fondo della carta. Lui lo sospettava da tempo, ma quella sera ne ebbe la conferma.
Era affetto da “emozione precoce”, che colpiva il 2,1 % della popolazione maschile tra i 18 e i 45 anni. Per questo la vita sentimentale di Carlo era un casino. Faceva passi falsi che a lui, in verità, sembravano veri più che mai. Tutto gli si ritorceva contro: occhiate languide depositate in tempi sbagliati, frasi romantiche precipitate nel vuoto, baci mai dati perché morti suicidi sulle labbra. Capitava allora che se ne stesse seduto nel buio dei sedili di una Peugeot 208. Lì allora ipotizzava opzioni risolutive. Ricorrere alla chirurgia sentimentale forse poteva essere una soluzione? Quella che anestetizza la sincope del cuore e asciuga il tremore dalle mani?
Dopo mesi di stallo emotivo autoindotto, la terra aveva nuovamente tremato sotto le sue scarpe. Lei si chiamava Francesca e ogni mattina prendeva il caffè macchiato e il cornetto al miele al Bar Ferrari.
Siccome Carlo era un uomo in costante anticipo emotivo, la mattina sorseggiava il suo caffè nero quattro minuti prima che Francesca entrasse dalla porta del bar. Il suo sguardo sorvolava l’ingresso del locale, mentre la gente lì attorno si faceva gli affari suoi.
Francesca era un groviglio di riccioli castani raccolti in una coda distratta. Portava la borsa a tracolla che, ad ogni passo, le sfiorava il sedere. Quando indossava la maglia con lo scollo giusto, esibiva un accenno di clavicola che reclamava baci.
Nel bar lui la intercettava prima con lo sguardo e poi con la mente. Lei regalava il suo buongiorno all’ambiente in cui era entrata e poi veniva chiamata a rapporto dal bancone lucido, in attesa di essere servita.
Sguardi. Sorsi. Sguardi. Lei ci stava. O forse no.
Tazzina sul piattino, goccia di caffè sul bordo.
Nel cucchiaino, il rovescio convesso di un desiderio. Nelle mani, la paura di deludersi ancora una volta.
Poi, la voce improvvisa di lei.
– Mi stai fissando?
Verità o menzogna? Optò per la prima.
– Sì, ma da prima che te ne accorgessi.
– Davvero?
– Sì, io sono uno che fa le cose in anticipo.
– In anticipo?
– Sì, sbaglio i momenti.
– In che senso?
– Scelgo momenti poco opportuni.
– Tipo questo?
– Credo di sì.
– E chi ti dice che questo non sia un momento opportuno?
– La statistica.
– Beh, c’è qualcosa che volevi dirmi?
Verità o menzogna? Optò per la menzogna.
– No…anzi, scusa se ti ho importunata.
– Capisco… peccato però.
Un po’ di coraggio? Sì, stavolta era richiesto dal destino, e solo per qualche secondo.
– Cosa è peccato?
– Essere sfasati nelle emozioni.
– Già… è un casino.
– Capita anche a me a volte. Ma io al contrario credo di essere in ritardo.
– In ritardo??
– Sì. Ad esempio quando la mattina ti vedo al bancone del bar. Non ho il coraggio di voltare lo sguardo accanto al distributore delle spremute, perché è dove tu ti metti di solito.
Colpo basso. Bassissimo. Anzi alto, altissimo. Lui si ingoiò un po’ di battiti di cuore. Francesca proseguì.
– Allora faccio finta di niente. Sorseggio il caffè. Per variare il ritmo della mia presenza, frugo nel fondo della borsa. Infine mi sistemo la coda. È un casino catturare tutti questi riccoli. Mi rendo conto che come tattica non sia un granchè. Poi, quando vai alla cassa a pagare, guardo il posto il cui ti eri soffermato. Ecco il mio ritardo.
– Mi piacciono i tuoi capelli.
Lei sorrise al suono delle due “L” della parola “capelli”.
Era bello avere coraggio. Questo quello stupido referto medico non lo aveva rilevato però.
– Se vuoi facciamo una cosa – disse lui.
– Cioè?
– Domani mattina io mi impegnerò ad arrivare quattro minuti più tardi e tu invece quattro minuti in anticipo. Così magari ci incontreremo all’ingresso del bar. Ed entreremo assieme. Che ne dici?
Verità o menzogna? Lei optò per la prima.
– Dico che mi piace.
– La mia è una promessa.
– La mia pure.
In effetti furono due verità.
Il giorno successivo lui arrivò quattro minuti più tardi. Per lei fu più difficile calibrare l’anticipo. Riuscì infatti a raggiungere il bar solamente due minuti prima del solito. Carlo era già lì ad aspettarla, e a dirla tutta nessuno stava davvero guardando l’orologio.
Entrarono nel bar. All’inizio erano imbarazzati. A metà caffè lo erano ancora un po’. Alla fine avevano sorriso parecchio, ma non sapevano bene come salutarsi. Lei affondò i suoi capelli nella giacca di lui. Carlo allora abbozzò un tentativo di abbraccio che, se fosse stato per lui, sarebbe partito anche prima. Ma quella era la giornata del “mi impegno a…“. E così fu anche nei giorni seguenti.
Venerdì scorso Carlo e Francesca hanno disertato il bar Ferrari. Pare abbiano fatto comunque colazione assieme, ma a casa di lui.
Images: Pixabay
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