Oggi l’ho rivisto, era oltre la strada. Lui non lo sapeva, quindi ho potuto fare di lui ciò che volevo.
Parlava al telefono. L’altra mano, un pugno morbido nella tasca dei pantaloni. Senza che lui lo sapesse, quella era da sempre la sua posa migliore.
Dovevo andare alla posta. Avevo già la raccomandata in mano. Avrei dovuto oltrepassare la strada e passargli accanto, ma a quel punto ho dato la giusta importanza alle cose e ho rimesso la busta nella borsetta.
Mi sono sistemata la camicia. Sotto la tracolla era diventata uno scarabocchio e mi dava fastidio. Come la sera in cui non sapeva quali parole usare per dirmi che non si era innamorato di me. Mentre ovviava al discorso su di noi raccontandomi dove sarebbe andato in vacanza la prossima estate, io da sotto il tavolo alzavo e abbassavo i talloni al ritmo triste di un imminente abbandono. Allora controbilanciavo il suo imbarazzo con quel tovagliolo stropicciato nelle mie mani già vuote.
Ho continuato a camminare dall’altro lato della strada. Volevo godermi l’inatteso spettacolo di lui e ho giocato con quello che non eravamo mai stati. Allora l’ho immaginato nella sua nuova casa. In cucina, mentre lancia la tovaglia sul tavolo e per un errore di calcolo, quella birichina gli scivola e ricade tutta da un lato. Ci era già accaduto un paio di volte. E in un’occasione, mi era capitato di afferrarla al volo.
– Che riflessi! – mi aveva detto.
– Preferisco le cose lente – gli ho risposto. L’ho tenuta per un lembo, mentre guardavo verso il basso. Quanto avrei voluto lasciarla cadere a terra.
Sono al terzo dietro-front in questa platea di asfalto. Inizio a domandarmi quanto durerà questo mio gioco.
In quel momento, una donna più o meno della mia età è venuta verso di me con due buste della spesa piene fino all’orlo.
In un attimo, un sacchetto ha rinunciato al suo scopo e la forza di gravità ha fatto il resto. Sono straripati dalla cima tre vasetti di yogurt. Pure i grissini. Dannazione, tutte cose fragili. Per questo le mettiamo in alto nelle buste. Ma alla fine cadono comunque. Come il cuore che sta lassù, ma poi cade comunque.
Le vado incontro col passo svelto di chi si è accorto che la situazione è precipitata dalle sue mani. Lei mi guarda, sorpresa, e mi offre il sorriso imbarazzato di chi si vergogna di essere al mondo e nel contempo ringrazia per essere stata notata dal mondo stesso. Mi sono inginocchiata per rendere più vera la mia umanità e fare assieme a lei una prima stima dei cadaveri e dei feriti. Di tutto quel bottino, solo la linguetta di uno yogurt si è lasciata vincere dalla durezza del marciapiedi. Forse anche qualche grissino si sarà spezzato. Ma è dentro la confezione e quindi non si vede.
– Ti ringrazio… – mi sussurra con un tono colpevole.
– Non ti preoccupare, non è successo nulla di grave.
Per un attimo mi dimentico di lui, della strada. Penso solo alle cose che si rompono. Alle persone che si spezzano, come i grissini nella busta e nessuno lo saprà mai.
Allora aiuto la donna a risistemare la spesa appena traboccata e lei mi ringrazia, ancora una volta. Non so se sia più incredula per la spesa seminata a terra o perché qualcuno l’abbia aiutata a raccoglierla dalla strada. Io invece inizio a convincermi che tutto questo sia successo veramente. Mi alzo. La donna se ne va, con i pugni stretti nei manici di plastica biodegradabile. La telefonata nel frattempo è finita. Lui rimane fermo lì, in attesa di qualcuno, che ovviamente non sono io. Allora punto la direzione opposta e svolto l’angolo, schivando per un pelo un ragazzino ipnotizzato dal cellulare che non gli sta nella mano.
Sul grigio del marciapiede, un po’ di yogurt alla fragola.
E capisco che non so ancora dare la giusta importanza alle cose.
Images: Pixabay
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