Potrei guardarti ogni minuto mentre sistemi le montature di quegli occhiali sulle mensole. Però non posso farlo perché scopriresti che ti penso, anche se non so nemmeno il tuo nome. Ti penso quando cammino. Quando appoggio la forchetta sul bordo del piatto e poi regolarmente raccolgo il tovagliolo che mi è caduto a terra.
Quando ti inginocchi la tua gamba segue lo scorrere dell’ansa di un fiume. L’angolo del tuo gomito è quel ramo sottile che resiste agli acquazzoni dell’estate. E poi quell’orecchino. È così lungo che stuzzica il tuo collo ad ogni passo. Ad ogni tuo respiro. Ti guardo mentre faccio finta di essere indeciso sui modelli. E invece tra un prezzo esposto e un manifesto pubblicitario con una modella dallo sguardo corrucciato, sbircio e cerco un appiglio per farti capire che per me non sei una sagoma qualunque.
Mi chiedo cosa succederebbe ad uno che si vede scoperto ad ammirare una figura femminile che si muove nel silenzio di una vetrina. Una vetrina che snobba i comandi del semaforo all’angolo. Allo stesso tempo però, non si fa nessun problema ad imprigionare il mio riflesso imbarazzato.
Quando fingo di passare lì davanti per caso, ho sempre pochi secondi per poter intercettare il tuo profilo. Poi -mio malgrado- inizia il tormento di quella parte di me stesso intrappolato nel vetro. Tutto questo fino al giorno dopo, dove il gioco senza regole ricomincerà da capo. Lo so, il problema sono io. Il problema sono le mie mani che non hanno bisogno di stringere niente eppure me le ritrovo sempre in mezzo. Il problema è questo respiro che diventa un singhiozzo di polmoni.
Dovrei aprire quella porta. Entrare nel negozio. Perché la risposta non sarà mai qui fuori, ma lì dentro. Davanti al tuo sguardo silenzioso che aspetta quelle parole che non riesco a dirti.
Images: Pixabay
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