Oggi graditissimo ospite sul blog, Davide Calabrese, membro triestino degli Oblivion, nonchè attore, regista, cantante e molto molto altro. Ebbene sì, in un giorno di luglio, con temperature da Fiat Punto nera lasciata al sole, gli ho chiesto se avesse voglia di dare un suo contributo a questa disgrazia di blog. Contro ogni mia previsione ha accettato la proposta senza alcun indugio. L’ho rivisto di persona dopo ben 25 anni ed ho pensato che è proprio bello quando la bravura e l’umiltà si fondono in una risata sincera. Che altro dire quindi? Ecco qui il suo racconto, “Freeway”: catadiottrico e metropolitano come lui. Assolutamente da leggere, accompagnato da una familiare di Peroni gelata e rutto libero. Grazie Davide!
“Ma che è? Inverno?”.
Cerco di non dare confidenza, sorrido e guardo se ci sono spazi disponibili. La misantropia va sistemata prima di qualsiasi bagaglio. Certo, in vacanza tutto funziona meglio: di solito appena arrivato compro una copia del Times e la tengo sottobraccio per tutta la permanenza. L’unico modo per tenere lontani gli altri turisti italiani in cerca di una partita a racchettoni. In un treno però tutto diventa più difficile. Mi siedo e respiro profondamente mentre a sinistra un manager in abito blu si libera dal raffreddore partorendo dal naso. Un buon inizio. Inutile dire chi urla, urlano tutti. Urla la vecchia al telefono per dire che è partita, urla l’altoparlante di Trenitalia invitando a gustare il menù del giorno, urla il controllore declinando ogni responsabilità per il freddo e urla il manager. Quest’ultimo è l’unico giustificato in quanto intento a dare alla luce una nuova vita. Un profumo dolcissimo attraversa le mie narici. Vorrei essere Hannibal Lecter per stupire la riccioluta adolescente che sta prendendo posto di fronte a me rivelando la marca del suo profumo. Ma ho i turbinati congestionati. Un vagone di rinopatie. Non sono Lecter, sono Franco dei Ricchi e Poveri. Una suoneria urla un brano degli Yes. Nessuno risponde. Di chi sarà questo telefono? Davvero un intenditore. La ricciolina si guarda attorno infastidita. “Sono gli Yes, chiudiamo un occhio!” esclamo con sicurezza e sorriso di chi la sa lunga. “Sa se funziona il Wi-Fi?” replica disinteressata. Mi da del Lei. Beh, certo. Potrei essere suo padre. La ragazza sarà nata all’epoca di Pulp Fiction. E in quell’anno ero in piena attività non protetta. Incosciente e impavido. Stagione di salto delle quaglie. Che tempi. Anzi no.
“Wi-Fi su Trenitalia? Ma non sa che tutto quello che finisce in “Italia” funziona sempre male? Alitalia, Equitalia, Trenitalia…” e rido come quello che la sa ancora più lunga. La saprò anche lunga, ma non fa ridere. Qui non si ride un minuto. Voglio morire. La ragazza senza capire in tutta fretta apre la borsetta per prendere le cuffiette: il telefono vibra. “Ca**o, la call!” “Audace, usa paroloni la ragazzina” penso mentre sto per valutare l’arrivo dell’ostetrica per il manager che ha rotto le acque. “Enrico, ti chiamavo io. Oggi il Mentor me la deve far per forza la Formazione oppure mi compromette il design dello speech”. Tutto quello spreco di dativo etico mi fa collocare la ragazza in Lombardia. Comunque non capisco. Sono io il pugliese che a Hurgada vorrebbe chiedermi di giocare a racchettoni. “Eh, bello che la vostra generazione sappia le lingue. Noi imparavamo l’inglese con i video musicali di Emmetivù. Avevamo solo quel canale.” Vero niente, ma fa tanto anziano che ha fatto la guerra. La ragazza mi guarda ma è più preoccupata per il fatto che la telefonata si sia interrotta. “Sono le gallerie, signorina. Facciamo i treni veloci e poi non riusciamo a far funzionare i telefoni. Questa è l’Europa, secondo lei? Io mi sono comprato il Teledrin. Molto più rilassante. Quando scendi dal treno guardi il numero e ritelefoni. Lo vendono ancora, sa? E l’ho comprato”. Non capisco cosa mi stia succedendo. Temo di aver contratto un tipo di deficienza virale che mi fa pensare come Di Maio e parlare come Mengacci. “Nessuna galleria purtroppo: mi è caduto l’apparecchio mentre scendevo a Tiburtina. Non si sente più”. Lei vorrebbe il mio telefono. Un brivido ingiustificato percorre la schiena. “Tenga…” sussurro sudando brina. La riccia compila il numero di Enrico e riparte: “Ti dicevo, solo i Leader delle Unit. Sono sei minuti al massimo, una sorta di Ted che analizzi il Network e il Product Placement in base al Customer Profile. Come “qual è il Product Placement? Che domanda è?”. Sembra un testo di Max Pezzali ma non faccio in tempo a pensarlo che la ragazza si scusa attraverso un improvvisato linguaggio dei segni e corre in bagno parlando.
Aiuto. Faccio mettere le mani sul mio telefono ad una ragazzina del ’94. Ora starà scambiando l’ordine delle mail, cancellando app, cambiando l’ID Apple o addirittura caricando in rete il video di “Perchè l’hai fatto” con me e Paolo Mengoli a Lido di Volano. Sono terrorizzato. Per fortuna il miracolo della vita sta avvenendo alla mia sinistra. I fazzoletti Tempo sono finiti e ormai qualsiasi cosa è buona per fermare la placenta nasale. Siamo alle salviette umidificate Trenitalia. Il manager si commuove ma io sono teso. La ragazza ha in mano il mio telefono. E se curiosasse nella cronologia e scoprisse la mia passione politica per Tabacci o i video hard “Nani contro camionisti”? E se pensa che sono gay solo perchè ho la sigla di Grey’s Anatomy come suoneria? Sono davvero a pezzi. Ridatemi il telefono. La vecchia dietro di me ancora urla luoghi comuni. Furba la vecchia, lei il telefono col cavolo che te lo da. L’attesa è insopportabile. Arriva una hostess che con accento di Tor Bella Monaca mi chiede se dolce o salato. “Non so rispondere”. Il mio telefono non torna e miss Mediolanum si è chiusa nel cesso. Sono un uomo in preda al panico. Controllo tre volte le valigie, mi complimento con il manager per il peso partorito, fumo un sigaro con lui alla prima stazione, schifo la vecchia senza un motivo vero e mi reco deciso di fronte alla porta del bagno. Risoluto esordisco con: “Scusi, il mio telefono!”.
Niente più signorina, niente più telefono, niente. Bagno aperto e vuoto.
Lo sconforto accompagnato da un’improvvisa e preoccupante simpatia per Giorgia Meloni. Una ragazzina mi ha ciulato il telefono. Lì dentro avevo tutto. Numeri, password, foto. L’intero video della reunion dei Beehive con Pasquale che canta “Baby, I love you” indicandomi. Perso tutto. Non bisogna attaccarsi alle cose materiali, penso e scendo. Pensieroso. Non è una questione di soldi, dovevo cambiare quell’apparecchio visto che non so come si aggiorna, ma è il gesto. Mi sono fidato di una persona sbagliando. Mentre sto per uscire da Centrale una mitragliata di tacchi alle mie spalle. “Eccola, l’ho trovata! Il suo telefono! L’ho cercata inutilmente sul treno. Posso offrirle un caffè?” Il mio sorriso abbraccia tutti i binari, accetto di buon grado e al bancone del bar le racconto tutto il mio terrore fino alla fine. “Molto divertente davvero, certo che Lei di film in testa se ne fa tanti!” “È la mia generazione”, rispondo. “Ci hanno cresciuti raccontandoci che il genere umano si divide tra chi ha il contorno viola e chi no e che basta un abbraccio per cambiare casacca”. “Ora intuisco il perchè dei suoi acquisti. D’altronde è il mio mestiere. La saluto e grazie ancora”. Ringrazio e rifletto sul perchè la giovane economista abbia abbinato l’Aids al Teledrin. Drin. Drin. Un sms annuncia il suo arrivo e noto in prima schermata un messaggio di ventisei minuti prima. “Amazon: Il pacco Magnum da cento pezzi di Settebello ritardanti è in consegna”. Più chiaro ora il concetto di Product Placement?
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Le vecchie leve come il sottoscritto hanno apprezzato il sottile riferimento a “Freeway” dei Bee Hive
“Freeway…Freeway… nel vento io e te!”