Braccio di Ferro

23 Ago 2019 | Amori Contemporanei

Francesco non aveva un braccio.

Era nato così, un giorno del 1990. Un suo vagito spaccò il vetro: una chiara lamentela per il pezzo mancante, che nessuno però, ascoltò. La mamma e il papà lo sapevano già da prima della nascita e si preparavano da mesi ad accoglierlo con tutte le braccia che avevano a disposizione. Per non farsi trovare impreparati, chiesero aiuto anche alle braccia dei loro genitori, degli zii e pure agli infermieri del reparto di neonatologia. Il pupo indossò la sua prima tutina. Era di ciniglia, di un color verde cetriolo. Non la buccia del cetriolo, ma proprio quello che c’è dentro. Una manica però cadeva morbida e vuota e perciò la sua mamma pianse. Lui dormiva di già e non se ne accorse nemmeno.

Non aveva il braccio destro Francesco, ma aveva tutto il resto. I suoi occhi grigi allora osservavano incuriositi chi lo guardava e magari gli sorrideva. In quel modo deliberatamente esagerato, per compensare quella clamorosa mancanza. In quel modo indelicatamente farlocco, quasi a ringraziare il destino di aver schivato, per i propri figli, quella sciagura. Così Francesco aveva imparato da subito cosa la gente pensava di lui e di quella sua situazione asimmetrica.

Crebbe Francesco e andò all’asilo. Era diventato bravo a costruire città coi mattoncini colorati. Gli piaceva mettere insieme i pezzi e si arrabbiava quando non trovava quelli che gli servivano. Andava in cerca dei mattoncini con la forma giusta per completare la fermata dell’autobus o l’ambulatorio veterinario. Non voleva mica mancassero pezzi come a lui.

Francesco faceva tutto col braccio sinistro e così -giocoforza- diventò un mancino di ripiego. I suoi disegni fatti con la mano sinistra erano grandi e poco colorati. Disegnava se stesso con un occhio grande e un occhio piccolo e sembrava che avesse il monocolo. E poi gli piaceva immaginarsi forte, fortissimo, nel profondo dell’oceano. Diventava così una piovra, con mille tentacoli e tesori da scoprire in ogniddove.

A scuola imparò a farsi i lacci con una mano sola. Bella scoperta, non avrebbe potuto fare altrimenti. Il suo amico Lello invece non aveva ancora imparato. E di mani ne aveva ben due. Allora Francesco metteva il suo ditino indice sul nodo di Lello, che dal canto suo, azzardava impacciato asole e fiocchetti. Ma erano sempre troppo morbidi e approssimativi per tenere botta ai passi veloci di un bambino di 6 anni. Povero Lello!

Un giorno Francesco disse: “Mamma non mi manca il braccio destro, perché ho imparato a fare tutto col sinistro e sai che muscoli ho?”. E poi si beveva il suo succo di frutta. Stavolta la mamma sorrise e non pianse più.

Divenne grande Francesco e si innamorò di Martina. Una ragazza che indossava gli occhiali con la montatura verde e senza di quelli non avrebbe mai riconosciuto il numero dell’autobus che si accostava alla sua fermata. Era bella Martina. Bella come quando arrivi in spiaggia di buon’ora e non ci sono ancora impronte sul bagnasciuga. Aveva tasche e taschine ovunque, Martina: nei jeans, nella borsa a tracolla, nella camicetta. Alcune erano più strette, altre più larghe. Ma non ce n’erano di finte, erano tutte utilizzabili.

In ogni tasca metteva qualcosa che le piaceva, così avrebbe potuto ritrovare cose belle in ogni magica estrazione. Capitava così che dalla tasca dei jeans estraesse la voglia di conoscere persone diverse da lei. Non aveva mai troppa paura di perdere, e questo le portava nella maggior parte delle occasioni gioie nuove e conquiste coraggiose. Nella tasca della borsa invece, aveva la voglia di farsi accarezzare il viso da Francesco, perché come l’accarezzava lui, nessuno mai. Iniziava dalla linea accanto agli occhi e poi scendeva sul profilo del viso fino a scendere nell’onda della spalla. A quel punto avrebbe potuto continuare la sua discesa. Ma aspettava sempre che fosse lei a condurre la sua mano dove, in fin dei conti, volevano entrambi. Infine dalla tasca della camicetta tirava fuori gli attacchi d’amore che aveva verso di lui e il suo corpo. Iniziava appoggiando la testa sulla spalla destra di Francesco. Proprio lì dove non c’era un braccio, c’era spazio per stargli ancora più vicino. Per sentire il suo battito, la pelle che diventava più calda e quel delizioso profumo di limone che lui aveva sempre addosso. Ma durava sempre troppo poco. Perché in pochi movimenti si ritrovavano mescolati in un nodo di braccia e di vestiti. Vestiti che penzolavano solo per qualche secondo e poi cadevano a terra, arresi pure loro. E non accadeva nessun miracolo, solo la voglia di avere accanto al proprio viso le labbra dell’altro. E l’unico braccio che aveva Francesco sapeva stringere e amare la sua Martina, perché era diventato così forte e sicuro che non gli mancava più nulla.

Images: Pixabay

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